- Dopo aver letto i capitoli assegnati tratti da "I Promessi Sposi" scrivi una breve descrizione del carattere di Renzo, così come emerge dai testi che hai letto.
- Spesso Lucia è stata considerata un personaggio passivo, tutta presa dalla vergogna per l'offesa subita, chiusa nel suo pudore. quali argomenti useresti per controbbattere tali affermazioni, a partire dal testi letti?
- Quali caratteristiche della società del Seicento sono oggetto dell'ironia e del sarcasmo del Manzoni? Quale personaggio raccoglie in sé molti di questi elementi?

lunedì 19 dicembre 2011
esercizi letteratura III G
testi II G
Il sole muore già,
E di noi, questa notte, avrà pietà…
Dei nostri giochi confusi, nell’ipocrisia…
Il tempo ruba i contorni, ad una fotografia.
E il vento, spazza via…
Questa nostra irreversibile follia,
Chissà, se il seme, di un sentimento rivedrà,
La luce del giorno, che un’altra vita ci darà!
Resta amico accanto a me…
Resta e parlami di lei, se ancora c’è…
L’amore, muore, disciolto in lacrime ma noi,
Teniamoci forte e lasciamo il mondo ai vizi suoi!!!
Io e te…
Lo stesso pensiero!!!
Io e te…
Il tuo e il mio respiro!
Sarà, tornare ragazzi e, crederci ancora un po’…
Sporcheremo i muri,
con un altro ’’no’’!
E vai, se vuoi andare avanti!
Perché, sei figlio dei tempi!
Ma se, frugando, nella tua giacca, scoprissi che…
Dietro il portafoglio, un cuore, ancora, c’è!
Amico, cerca me!!
E, ti ricorderai…
Del morbillo e le cazzate, fra di noi!
La prima esperienza fallimentare,
chi era lei?
Amico, era ieri, le vele, le hai spiegate ormai!
E, tu ragazza, pure tu…
Che arrossivi se la mano andava giù!
Ritorna a pensare,
Che sarai madre, ma di chi?
Di lui, che è innocente…
Che non si dica ’’ figlio di…’’!
Io e te…
Lo stesso pensiero!
Che fai, se stai lì, da solo!!!
In due, più azzurro è, il tuo volo!!!
Amico è bello… Amico è tutto…
E’ l’eternità!
E’ quello che non passa, mentre tutto va!
Amico! Amico! Amico!
Il più fico amico, è chi resisterà!
Chi resisterà!
E di noi, questa notte, avrà pietà…
Dei nostri giochi confusi, nell’ipocrisia…
Il tempo ruba i contorni, ad una fotografia.
E il vento, spazza via…
Questa nostra irreversibile follia,
Chissà, se il seme, di un sentimento rivedrà,
La luce del giorno, che un’altra vita ci darà!
Resta amico accanto a me…
Resta e parlami di lei, se ancora c’è…
L’amore, muore, disciolto in lacrime ma noi,
Teniamoci forte e lasciamo il mondo ai vizi suoi!!!
Io e te…
Lo stesso pensiero!!!
Io e te…
Il tuo e il mio respiro!
Sarà, tornare ragazzi e, crederci ancora un po’…
Sporcheremo i muri,
con un altro ’’no’’!
E vai, se vuoi andare avanti!
Perché, sei figlio dei tempi!
Ma se, frugando, nella tua giacca, scoprissi che…
Dietro il portafoglio, un cuore, ancora, c’è!
Amico, cerca me!!
E, ti ricorderai…
Del morbillo e le cazzate, fra di noi!
La prima esperienza fallimentare,
chi era lei?
Amico, era ieri, le vele, le hai spiegate ormai!
E, tu ragazza, pure tu…
Che arrossivi se la mano andava giù!
Ritorna a pensare,
Che sarai madre, ma di chi?
Di lui, che è innocente…
Che non si dica ’’ figlio di…’’!
Io e te…
Lo stesso pensiero!
Che fai, se stai lì, da solo!!!
In due, più azzurro è, il tuo volo!!!
Amico è bello… Amico è tutto…
E’ l’eternità!
E’ quello che non passa, mentre tutto va!
Amico! Amico! Amico!
Il più fico amico, è chi resisterà!
Chi resisterà!
testi per la II G
E' l'amico e'
una persona schietta come te
che non fa prediche e non ti giudica
tra lui e te e' divisa in due la stessa anima
pero' lui sa, l'amico sa
il gusto amaro della verita'
ma sa nasconderla e per difenderti
un vero amico e' anche un bugiardo
E', l'amico e'
qualcosa che piu' ce n'e' meglio e'
è un silenzio che vuol diventare musica
da cantare in coro io con te
e, il coro e' un grido che piu' si e' meglio e'
e il mio amore nel tuo amore e'.
E', l'amico e'
il piu' deciso della compagnia
e ti convincera' a non arrenderti
anche le volte che rincorri l'impossibile
perche' lui ha, l'amico ha
il saper vivere che manca a te
ti spinge a correre ti lascia vincere
perche' e' un amico punto e basta.
E', l'amico e'
uno che ha molta gelosia di te
per ogni tua pazzia, ne fa una malattia
tanto che a volte ti vien voglia di mandarlo via
pero' lui no, l'amico no
per niente al mondo io lo perdero'
litigheremo si, e lo sa lui perche'
eppure e' il mio migliore amico.
una persona schietta come te
che non fa prediche e non ti giudica
tra lui e te e' divisa in due la stessa anima
pero' lui sa, l'amico sa
il gusto amaro della verita'
ma sa nasconderla e per difenderti
un vero amico e' anche un bugiardo
E', l'amico e'
qualcosa che piu' ce n'e' meglio e'
è un silenzio che vuol diventare musica
da cantare in coro io con te
e, il coro e' un grido che piu' si e' meglio e'
e il mio amore nel tuo amore e'.
E', l'amico e'
il piu' deciso della compagnia
e ti convincera' a non arrenderti
anche le volte che rincorri l'impossibile
perche' lui ha, l'amico ha
il saper vivere che manca a te
ti spinge a correre ti lascia vincere
perche' e' un amico punto e basta.
E', l'amico e'
uno che ha molta gelosia di te
per ogni tua pazzia, ne fa una malattia
tanto che a volte ti vien voglia di mandarlo via
pero' lui no, l'amico no
per niente al mondo io lo perdero'
litigheremo si, e lo sa lui perche'
eppure e' il mio migliore amico.
letteratura III G
12 - DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE |
Un Islandese, che era corso per la maggior parte del mondo, e soggiornato in diversissime terre; andando una volta per l'interiore dell'Affrica, e passando sotto la linea equinoziale in un luogo non mai prima penetrato da uomo alcuno, ebbe un caso simile a quello che intervenne a Vasco di Gama nel passare il Capo di Buona speranza; quando il medesimo Capo, guardiano dei mari australi, gli si fece incontro, sotto forma di gigante, per distorlo dal tentare quelle nuove acque. Vide da lontano un busto grandissimo; che da principio immaginò dovere essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui, molti anni prima, nell'isola di Pasqua. Ma fattosi più da vicino, trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; la quale guardavalo fissamente; e stata così un buono spazio senza parlare, all'ultimo gli disse. Natura. Chi sei? che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita? Islandese. Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa. Natura. Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da se medesimo. Io sono quella che tu fuggi. Islandese. La Natura? Natura. Non altri. Islandese. Me ne dispiace fino all'anima; e tengo per fermo che maggior disavventura di questa non mi potesse sopraggiungere. Natura. Ben potevi pensare che io frequentassi specialmente queste parti; dove non ignori che si dimostra più che altrove la mia potenza. Ma che era che ti moveva a fuggirmi? Islandese. Tu dei sapere che io fino nella prima gioventù, a poche esperienze, fui persuaso e chiaro della vanità della vita, e della stoltezza degli uomini; i quali combattendo continuamente gli uni cogli altri per l'acquisto di piaceri che non dilettano, e di beni che non giovano; sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite sollecitudini, e infiniti mali, che affannano e nocciono in effetto; tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano. Per queste considerazioni, deposto ogni altro desiderio, deliberai, non dando molestia a chicchessia, non procurando in modo alcuno di avanzare il mio stato, non contendendo con altri per nessun bene del mondo, vivere una vita oscura e tranquilla; e disperato dei piaceri, come di cosa negata alla nostra specie, non mi proposi altra cura che di tenermi lontano dai patimenti. Con che non intendo dire che io pensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche corporali: che ben sai che differenza e dalla fatica al disagio, e dal viver quieto al vivere ozioso. E già nel primo mettere in opera questa risoluzione, conobbi per prova come egli e vano a pensare, se tu vivi tra gli uomini, di potere, non offendendo alcuno, fuggire che gli altri non ti offendano; e cedendo sempre spontaneamente, e contentandosi del menomo in ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato. Ma dalla molestia degli uomini mi liberai facilmente, separandomi dalla loro società, e riducendomi in solitudine: cosa che nell'isola mia nativa si può recare ad effetto senza difficoltà. Fatto questo, e vivendo senza quasi verun'immagine di piacere, io non poteva mantenermi però senza patimento: perché la lunghezza del verno, l'intensità del freddo, e l'ardore estremo della state, che sono qualità di quel luogo, mi travagliavano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi conveniva passare una gran parte del tempo, m'inaridiva le carni, e straziava gli occhi col fumo; di modo che, né in casa né a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo disagio. Né anche potea conservare quella tranquillità della vita, alla quale principalmente erano rivolti i miei pensieri: perché le tempeste spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla, il sospetto degl'incendi, frequentissimi negli alberghi, come sono i nostri, fatti di legno, non intermettevano mai di turbarmi. Tutte le quali incomodità in una vita sempre conforme a se medesima, e spogliata di qualunque altro desiderio e speranza, e quasi di ogni altra cura, che d'esser quieta; riescono di non poco momento, e molto più gravi che elle non sogliono apparire quando la maggior parte dell'animo nostro è occupata dai pensieri della vita civile, e dalle avversità che provengono dagli uomini. Per tanto veduto che più che io mi ristringeva e quasi mi contraeva in me stesso, a fine d'impedire che l'esser mio non desse noia né danno a cosa alcuna del mondo; meno mi veniva fatto che le altre cose non m'inquietassero e tribolassero; mi posi a cangiar luoghi e climi, per vedere se in alcuna parte della terra potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo non patire. E a questa deliberazione fui mosso anche da un pensiero che mi nacque, che forse tu non avessi destinato al genere umano se non solo un clima della terra (come tu hai fatto a ciascuno degli altri generi degli animali, e di quei delle piante), e certi tali luoghi; fuori dei quali gli uomini non potessero prosperare né vivere senza difficoltà e miseria; da dover essere imputate, non a te, ma solo a essi medesimi, quando eglino avessero disprezzati e trapassati i termini che fossero prescritti per le tue leggi alle abitazioni umane. Quasi tutto il mondo ho cercato, e fatta esperienza di quasi tutti i paesi; sempre osservando il mio proposito, di non dar molestia alle altre creature, se non il meno che io potessi, e di procurare la sola tranquillità della vita. Ma io sono stato arso dal caldo fra i tropici, rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati dall'incostanza dell'aria, infestato dalle commozioni degli elementi in ogni dove. Più luoghi ho veduto, nei quali non passa un dì senza temporale: che è quanto dire che tu dai ciascun giorno un assalto e una battaglia formata a quegli abitanti, non rei verso te di nessun'ingiuria. In altri luoghi la serenità ordinaria del cielo è compensata dalla frequenza dei terremoti, dalla moltitudine e dalla furia dei vulcani, dal ribollimento sotterraneo di tutto il paese. Venti e turbini smoderati regnano nelle parti e nelle stagioni tranquille dagli altri furori dell'aria. Tal volta io mi ho sentito crollare il tetto in sul capo pel gran carico della neve, tal altra, per l'abbondanza delle piogge la stessa terra, fendendosi, mi si è dileguata di sotto ai piedi; alcune volte mi è bisognato fuggire a tutta lena dai fiumi, che m'inseguivano, come fossi colpevole verso loro di qualche ingiuria. Molte bestie salvatiche, non provocate da me con una menoma offesa, mi hanno voluto divorare; molti serpenti avvelenarmi; in diversi luoghi è mancato poco che gl'insetti volanti non mi abbiano consumato infino alle ossa. Lascio i pericoli giornalieri, sempre imminenti all'uomo, e infiniti di numero; tanto che un filosofo antico non trova contro al timore, altro rimedio più valevole della considerazione che ogni cosa è da temere. Né le infermità mi hanno perdonato; con tutto che io fossi, come sono ancora, non dico temperante, ma continente dei piaceri del corpo. Io soglio prendere non piccola ammirazione considerando che tu ci abbi infuso tanta e sì ferma e insaziabile avidità del piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, come priva di ciò che ella desidera naturalmente, è cosa imperfetta: e da altra parte abbi ordinato che l'uso di esso piacere sia quasi di tutte le cose umane la più nociva alle forze e alla sanità del corpo, la più calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna persona, e la più contraria alla durabilità della stessa vita. Ma in qualunque modo, astenendomi quasi sempre e totalmente da ogni diletto, io non ho potuto fare di non incorrere in molte e diverse malattie: delle quali alcune mi hanno posto in pericolo della morte; altre di perdere l'uso di qualche membro, o di condurre perpetuamente una vita più misera che la passata; e tutte per più giorni o mesi mi hanno oppresso il corpo e l'animo con mille stenti e mille dolori. E certo, benché ciascuno di noi sperimenti nel tempo delle infermità, mali per lui nuovi o disusati, e infelicità maggiore che egli non suole (come se la vita umana non fosse bastevolmente misera per l'ordinario); tu non hai dato all'uomo, per compensarnelo, alcuni tempi di sanità soprabbondante e inusitata, la quale gli sia cagione di qualche diletto straordinario per qualità e per grandezza. Ne' paesi coperti per lo più di nevi, io sono stato per accecare: come interviene ordinariamente ai Lapponi nella loro patria. Dal sole e dall'aria, cose vitali, anzi necessarie alla nostra vita, e però da non potersi fuggire, siamo ingiuriati di continuo: da questa colla umidità, colla rigidezza, e con altre disposizioni; da quello col calore, e colla stessa luce: tanto che l'uomo non può mai senza qualche maggiore o minore incomodità o danno, starsene esposto all'una o all'altro di loro. In fine, io non mi ricordo aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena; laddove io non posso numerare quelli che ho consumati senza pure un'ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci è destinato e necessario il patire, quanto il non godere; tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo, quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de' tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono di perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o di occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d'incalzarci, finché ci opprimi. E già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubre della vecchiezza; vero e manifesto male, anzi cumulo di mali e di miserie gravissime; e questo tuttavia non accidentale, ma destinato da te per legge a tutti i generi de' viventi, preveduto da ciascuno di noi fino nella fanciullezza, e preparato in lui di continuo, dal quinto suo lustro in là, con un tristissimo declinare e perdere senza sua colpa: in modo che appena un terzo della vita degli uomini è assegnato al fiorire, pochi istanti alla maturità e perfezione, tutto il rimanente allo scadere, e agl'incomodi che ne seguono. Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l'intenzione a tutt'altro che alla felicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei. Islandese. Ponghiamo caso che uno m'invitasse spontaneamente a una sua villa, con grande instanza; e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d'intrattenermi in alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare e battere da' suoi figliuoli e dall'altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de' tuoi sollazzi, e di farti le buone spese; a questo replicherei: vedi, amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di non invitarmici. Ma poiché spontaneamente hai voluto che io ci dimori, non ti si appartiene egli di fare in modo, che io, quanto è in tuo potere, ci viva per lo meno senza travaglio e senza pericolo? Così dico ora. So bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttosto crederei che l'avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli. Ora domando: t'ho io forse pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, e in maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, colle tue mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi lieto e contento in questo tuo regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l'abitarvi non mi noccia? E questo che dico di me, dicolo di tutto il genere umano, dicolo degli altri animali e di ogni creatura. Natura. Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento. Islandese. Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono? Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l'Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa. |
lunedì 12 dicembre 2011
letteratura III G
IL CINQUE MAGGIO
Alla notizia della morte di Napoleone avvenuta appunto il 5 maggio 1821 all’isola di Sant’Elena , Manzoni reagisce scrivendo di getto in soli tre giorni un’ode in cui delinea la figura di Napoleone non come personaggio politico e storico ma come uomo. L’autore infatti cerca di calarsi nell’animo di Napoleone presentandoci i pensieri, i sentimenti, le speranze, i dubbi da quando era un soldato sconosciuto a molti a quando diventa imperatore di Francia. In realtà Manzoni si serve di ciò per riflettere sulle vicende umane e sulla loro realizzazione avvenuta per volontà divina. Pertanto vero protagonista dell’ode non è Napoleone ma la Provvidenza che si è servita di lui per realizzare la sua volontà. In tutta la poesia Napoleone non viene nominato mai direttamente ma viene sempre utilizzato il pronome Ei.
L’ode può essere divisa in cinque parti.
I parte vv.1 – 24
L’ode si apre con la comunicazione della morte di Napoleone racchiusa tutta in quel “Ei fu” iniziale. V. 15 vece assidua = con continui cambiamenti v.16 cadde, risorse e giacque= questo verso è giustificato storicamente, fa riferimento alle ultime fasi della carriera politica di Napoleone. Si riferisce infatti alla sconfitta di Lipsia (cadde), alla fuga dall’isola d’Elba (risorse) e alla sconfitta di Waterloo (giacque).
II parte vv. 25 – 36
È la parte centrale dell’ode. Vengono descritte le campagne intraprese da Napoleone. Al v. 31 Manzoni si chiede se si trattò di vera gloria e afferma che non tocca a lui dare tale risposta ma a chi verrà dopo perché gli eventi citati sono troppo recenti e coinvolgenti per non lasciarsi condizionare nel giudizio.
III parte vv.37 – 54
Viene descritto Napoleone nelle sue fasi alterne della sua vita dalla gloria alla sconfitta, gli viene riconosciuto il merito di aver sottoposto a lui due secoli contrapposti per ideali culturali e politici: il Settecento e l’Ottocento.
IV parte vv. 55 - 96
Con l’esilio a Sant’Elena egli fu costretto a al riposo forzato ma l’eco delle sue azioni durò e condizionò ancora a lungo. Manzoni immagina quali possano essere stati i pensieri e le sensazioni provate da Napoleone nel suo esilio. L’aggettivo eterne del v.71 si riferisce al fatto che in realtà Napoleone non ha mai concluso le sue memorie. Il “forse” del v. 85 ci indica che a parlare, esprimendo il proprio pensiero, è lo stesso Manzoni.
V parte vv. 97 – 108
In quest’ultima parte l’autore celebra la fede. Solo lei in realtà è l’autrice delle imprese di Napoleone che si né inchinato al volere divino. In questo modo Manzoni risponde alla domanda che si era posto nella seconda parte.
Oltre agli esercizi sul libro di testo:
1) Perché, secondo Manzoni, la gloria terrena è priva di importanza?
2) Secondo alcune ipotesi, cui Manzoni in quest’ode aderisce, Napoleone si sarebbe convertito poco prima di morire. In quale versi è espressa tale convinzione?
3) Nella prima parte della poesia ricorrono alcuni termini che appartengono all’ambito semantico della guerra. Perché Manzoni ha scelto queste parole per descrivere la morte di Napoleone e l’effetto che essa ebbe sui contemporanei?
letteratura III G
Alessandro Manzoni affermava che la poesia e la letteratura dovevano avere “l’utile per scopo, il vero per soggetto, l’interessante per mezzo”. All’interno di questa affermazione è contenuta tutta quanta la poetica di Manzoni. Egli infatti riteneva essenziale che le opere letterarie dovessero:
1) educare culturalmente e spiritualmente non solo il singolo cittadino ma un intero popolo;
2) trattare la realtà storica arricchendola con la visione sociale, religiosa e psicologica dei personaggi;
3) essere attuali riscontrando in questo modo l’interesse del lettore.
Alla luce di quanto affermato possiamo dire che le opere composte da Alessandro Manzoni hanno tutte alcune caratteristiche comuni:
- la ricerca della verità considerata indispensabile perché l’arte possa avere un fine educativo.;
- la concezione della storia come espressione della Provvidenza divina cioè della volontà di Dio che gli uomini devono accettare fiduciosamente operando per il bene e la giustizia.
esercizi per la II G
Es. n.1 Sottolinea gli aggettivi presenti nelle seguenti frasi quando hanno valore di nome del predicato e cerchiali quando hanno funzione di attributo
- Alessandro è felice da quando ha ottenuto quel riconoscimento.
- Claudia è una ragazza serena e manifesta un atteggiamento dolce e comprensivo con tutti.
- Elisabetta indossava un abito elegante per il matrimonio di suo fratello.
- Andrea si è dimostrato abile nel riparare il suo motorino.
- L’insegnante d’italiano mi ha riconsegnato il tema corretto.
- Vive serena da quando ha ottenuto il trasferimento in un’altra città.
- Brr, che freddo! Voglio proprio farmi una bella doccia bollente.
- Il giardino di fronte va casa mia è ormai tutto fiorito.
- Le regalo un ramo fiorito di pesco.
- Il suo comportamento non mi è sembrato corretto: avrebbe almeno dovuto telefonarmi per informarmi che non avrebbe partecipato alla fersta.
- Ha un’espressione felice dipinta sul volto: sicuramente gli è successo qualcosa di bello.
- Oggi il cielo è tornato sereno dopo tanti giorni di pioggia.
- Questo tè è bollente: aspetterò qualche minuto prima di berlo.
- Marisa adora nuotare nel limpido mare della Sardegna.
Es. n.2 Sottolinea gli aggettivi nel brano seguente, poi inseriscili nella colonna giusta della tabella
L’abete e il rovo
Un abete e un rovo si punzecchiavano quotidianamente. L’abete, alto e imponente, era molto presuntuoso; il rovo, piccolo e spinoso, cercava di contrastarlo come poteva. “Sono bello, grande e utili, gli uomini si servini della mia corteccia per costruire i tetti delle loro case, le navi, i mobili e gli strumenti musicali, inoltre addobbo le case durante il Natale” amava vantarsi l’abete. “E tu, piccolo e brutto sgorbio, hai il coraggio di confrontarti con me….. A chi giovi? Non ti si può avvicinare che subito pungi e i tuoi frutti, le more, sono buoni solo per gli uccelli”. A così tanta veemenza il povero rovo rispose:” Caro abete, se tu ti rammentassi delle scuri e delle seghe taglienti che ti spaccano, forse preferiresti essere un piccolo rovo anche tu!”
Attributi del soggetto | Attributi di un complemento | Nomi del predicato |
domenica 4 dicembre 2011
esercizi per la II G
Es. n. 1 Sottolinea tutti gli attributi presenti nelle seguenti frasi
Es. n. 2 Nelle seguenti frasi sottolinea solo gli attributi che si riferiscono al soggetto e cerchia quelli che accompagnano altri complementi.
Es. n. 3 Riscrivi sul quaderno le frasi seguenti sostituendo ai puntini gli attributi che ritieni necessari per arricchire il significato di ciascuna frase
- Troverai sull'ultimo scaffale alcuni fogli di carta colorata con cui confezionare i regali di Natale.
- Laura ha acquistato una cucina nuova e funzionale.
- Gianni mi ha scritto una lunga e affettuosa lettera.
- Appoggia sempre accanto al banco la sua cartella verde con tutti i suoi libri.
- Vorrei trascorrere le prossime vacanze estive con numerosi e cari amici.
- Venezia è una straordinaria città che attira ogni anno numerosi turisti italiani e stranieri.
- La mostra fotografica sarà allestita nell'ampia sala di una nota galleria del centro cittadino.
- Organizzeranno un'interessante escursione sull'Appennino tosco-emiliano.
Es. n. 2 Nelle seguenti frasi sottolinea solo gli attributi che si riferiscono al soggetto e cerchia quelli che accompagnano altri complementi.
- Il giovane Marcello è un pianista di eccezionale talento.
- La luce accecante del sole lo costrinse a indossare un paio di occhiali scuri.
- Il famoso cantante rock si fece attendere per ore.
- Il concerto finale sarà eseguito da giovani artisti.
- Nella stanza chiusa percepivano uno sgradevole odore di muffa.
- Il medico curante ha prescritto a Maria una dieta specifica per i suoi disturbi digestivi.
- Il pollo bollito non mi piace: prediligo la carne arrosto con croccanti patatine fritte.
- Durante la scorsa estate i ragazzi hanno letto numerosi libri con grande interesse.
- La vecchia caldaia della nostra vicina di casa è stata revisionata da un bravo tecnico.
- Stamattina Cristian è venuto a scuola con la sua bicicletta nuova fiammante.
Es. n. 3 Riscrivi sul quaderno le frasi seguenti sostituendo ai puntini gli attributi che ritieni necessari per arricchire il significato di ciascuna frase
- Durante i.......pomeriggi d'estate organizzo con .....amici.......gare di nuoto
- Ti presterò un.......libro giallo.
- Ho portato in una .......lavanderia le coperte........per farle lavare a secco.
- Giovanni è un atleta........ e gioca in una........ squadra di pallacanestro.
- Per un.......consulto si sono rivolti a un medico.........
- Hai usato tu i...........pennarelli?
- Le foglie della........quercia facevano un'ombra.......
- Tutte le volte che l'ho invitato a cena, mi ha portato ......dolci.
venerdì 2 dicembre 2011
La Piccola vedetta lombarda
LA PICCOLA VEDETTA LOMBARDA
tratto da Cuore di Edmondo De Amicis
Nel 1859, durante la guerra per la liberazione della Lombardia, pochi giorni dopo la battaglia di Solferino e San Martino, vinta dai Francesi e dagli Italiani contro gli Austriaci, in una bella mattinata del mese di giugno, un piccolo drappello di cavalleggieri di Saluzzo andava di lento passo, per un sentiero solitario, verso il nemico, esplorando attentamente la campagna. Guidavano il drappello un ufficiale e un sergente, e tutti guardavano lontano, davanti a sé, con occhio fisso, muti, preparati a veder da un momento all'altro biancheggiare fra gli alberi le divise degli avamposti nemici.
Arrivarono così a una casetta rustica, circondata di frassini, davanti alla quale se ne stava tutto solo un ragazzo d'una dozzina d'anni, che scortecciava un piccolo ramo con un coltello, per farsene un bastoncino; da una finestra della casa spenzolava una larga bandiera tricolore; dentro non c'era nessuno: i contadini, messa fuori la bandiera, erano scappati, per paura degli Austriaci. Appena visti i cavalleggieri, il ragazzo buttò via il bastone e si levò il berretto. Era un bel ragazzo, di viso ardito, con gli occhi grandi e celesti, coi capelli biondi e lunghi; era in maniche di camicia, e mostrava il petto nudo.
- Che fai qui? - gli domandò l'ufficiale, fermando il cavallo. - Perché non sei fuggito con la tua famiglia?
- Io non ho famiglia, - rispose il ragazzo. - Sono un trovatello. Lavoro un po' per tutti. Son rimasto qui per veder la guerra.
- Che fai qui? - gli domandò l'ufficiale, fermando il cavallo. - Perché non sei fuggito con la tua famiglia?
- Io non ho famiglia, - rispose il ragazzo. - Sono un trovatello. Lavoro un po' per tutti. Son rimasto qui per veder la guerra.
- Hai visto passare degli Austriaci?
- No, da tre giorni.
L'ufficiale stette un poco pensando; poi saltò giù da cavallo, e lasciati i soldati lì, rivolti verso il nemico, entrò nella casa e salì sul tetto... La casa era bassa; dal tetto non si vedeva che un piccolo tratto di campagna. - Bisogna salir sugli alberi, - disse l'ufficiale, e discese. Proprio davanti all'aia si drizzava un frassino altissimo e sottile, che dondolava la vetta nell'azzurro. L'ufficiale rimase un po' sopra pensiero, guardando ora l'albero ora i soldati; poi tutt'a un tratto domandò al ragazzo:
- Hai buona vista, tu, monello?
- Hai buona vista, tu, monello?
- Io? - rispose il ragazzo. - Io vedo un passerotto lontano un miglio.
- Saresti buono a salire in cima a quell'albero?
- In cima a quell'albero? io? In mezzo minuto ci salgo.
- E sapresti dirmi quello che vedi di lassù, se c'è soldati austriaci da quella parte, nuvoli di polvere, fucili che luccicano, cavalli?
- Sicuro che saprei.
- Che cosa vuoi per farmi questo servizio?
- Che cosa voglio? - disse il ragazzo sorridendo. - Niente. Bella cosa! E poi... se fosse per i tedeschi, a nessun patto; ma per i nostri! Io sono lombardo.
- Bene. Va su dunque.
- Un momento, che mi levi le scarpe.
Si levò le scarpe, si strinse la cinghia dei calzoni, buttò nell'erba il berretto e abbracciò il tronco del frassino
- Ma bada... - esclamò l'ufficiale, facendo l'atto di trattenerlo, come preso da un timore improvviso.
Il ragazzo si voltò a guardarlo, coi suoi begli occhi celesti, in atto interrogativo.
- Niente, - disse l'ufficiale; - va su.
- Ma bada... - esclamò l'ufficiale, facendo l'atto di trattenerlo, come preso da un timore improvviso.
Il ragazzo si voltò a guardarlo, coi suoi begli occhi celesti, in atto interrogativo.
- Niente, - disse l'ufficiale; - va su.
Il ragazzo andò su, come un gatto.
- Guardate davanti a voi, - gridò l'ufficiale ai soldati.
In pochi momenti il ragazzo fu sulla cima dell'albero, avviticchiato al fusto, con le gambe fra le foglie, ma col busto scoperto, e il sole gli batteva sul capo biondo, che pareva d'oro. L'ufficiale lo vedeva appena, tanto era piccino lassù.
- Guarda dritto e lontano, - gridò l'ufficiale.
Il ragazzo, per veder meglio, staccò la mano destra dall'albero e se la mise alla fronte.
- Che cosa vedi? - domandò l'ufficiale.
Il ragazzo chinò il viso verso di lui, e facendosi portavoce della mano, rispose: - Due uomini a cavallo, sulla strada bianca.
- A che distanza di qui?
- Mezzo miglio.
- Movono?
- Son fermi.
- Che altro vedi? - domandò l'ufficiale, dopo un momento di silenzio. - Guarda a destra.
Il ragazzo guardò a destra.
Poi disse: - Vicino al cimitero, tra gli alberi, c'è qualche cosa che luccica. Paiono baionette.
- Vedi gente?
- No. Saran nascosti nel grano.
In quel momento un fischio di palla acutissimo passò alto per l'aria e andò a morire lontano dietro alla casa.
- Scendi, ragazzo! - gridò l'ufficiale. - T'han visto. Non voglio altro. Vien giù.
- Io non ho paura, - rispose il ragazzo.
- Scendi... - ripeté l'ufficiale, - che altro vedi, a sinistra?
- A sinistra?
- Sì, a sinistra.
Il ragazzo sporse il capo a sinistra; in quel punto un altro fischio più acuto e più basso del primo tagliò l'aria. Il ragazzo si riscosse tutto. - Accidenti! - esclamò. - L'hanno proprio con me! - La palla gli era passata poco lontano.
- Scendi! - gridò l'ufficiale, imperioso e irritato.
- Scendo subito, - rispose il ragazzo. - Ma l'albero mi ripara, non dubiti. A sinistra, vuole sapere?
- A sinistra, - rispose l'ufficiale; - ma scendi.
- A sinistra, - gridò il ragazzo, sporgendo il busto da quella parte, - dove c'è una cappella, mi par di veder...
Un terzo fischio rabbioso passò in alto, e quasi ad un punto si vide il ragazzo venir giù, trattenendosi per un tratto al fusto ed ai rami, e poi precipitando a capo fitto colle braccia aperte. - Maledizione! - gridò l'ufficiale, accorrendo.
Un terzo fischio rabbioso passò in alto, e quasi ad un punto si vide il ragazzo venir giù, trattenendosi per un tratto al fusto ed ai rami, e poi precipitando a capo fitto colle braccia aperte. - Maledizione! - gridò l'ufficiale, accorrendo.
Il ragazzo batté la schiena per terra e restò disteso con le braccia larghe, supino; un rigagnolo di sangue gli sgorgava dal petto, a sinistra. Il sergente e due soldati saltaron giù da cavallo; l'ufficiale si chinò e gli aprì la camicia: la palla gli era entrata nel polmone sinistro. - È morto! - esclamò l'ufficiale. - No, vive! - rispose il sergente. - Ah! povero ragazzo! bravo ragazzo! - gridò l'ufficiale; - coraggio! coraggio! - Ma mentre gli diceva coraggio e gli premeva il fazzoletto sulla ferita, il ragazzo stralunò gli occhi e abbandonò il capo: era morto. L'ufficiale impallidì, e lo guardò fisso per un momento; poi lo adagiò col capo sull'erba; s'alzò, e stette a guardarlo; anche il sergente e i due soldati, immobili, lo guardavano: gli altri stavan rivolti verso il nemico.
- Povero ragazzo! - ripeté tristemente l'ufficiale. - Povero e bravo ragazzo!
Poi s'avvicinò alla casa, levò dalla finestra la bandiera tricolore, e la distese come un drappo funebre sul piccolo morto, lasciandogli il viso scoperto. Il sergente raccolse a fianco del morto le scarpe, il berretto, il bastoncino e il coltello.
Stettero ancora un momento silenziosi; poi l'ufficiale si rivolse al sergente e gli disse: - Lo manderemo a pigliare dall'ambulanza; è morto da soldato: lo seppelliranno i soldati. - Detto questo mandò un bacio al morto con un atto della mano, e gridò: - A cavallo. - Tutti balzarono in sella, il drappello si riunì e riprese il suo cammino.
E poche ore dopo il piccolo morto ebbe i suoi onori di guerra.
Al tramontar del sole, tutta la linea degli avamposti italiani s'avanzava verso il nemico, e per lo stesso cammino percorso la mattina dal drappello di cavalleria, procedeva su due file un grosso battaglione di bersaglieri, il quale, pochi giorni innanzi, aveva valorosamente rigato di sangue il colle di San Martino. La notizia della morte del ragazzo era già corsa fra quei soldati prima che lasciassero gli accampamenti. Il sentiero, fiancheggiato da un rigagnolo, passava a pochi passi di distanza dalla casa. Quando i primi ufficiali del battaglione videro il piccolo cadavere disteso ai piedi del frassino e coperto dalla bandiera tricolore, lo salutarono con la sciabola; e uno di essi si chinò sopra la sponda del rigagnolo, ch'era tutta fiorita, strappò due fiori e glieli gettò. Allora tutti i bersaglieri, via via che passavano, strapparono dei fiori e li gettarono al morto. In pochi minuti il ragazzo fu coperto di fiori, e ufficiali e soldati gli mandavan tutti un saluto passando: - Bravo, piccolo lombardo! - Addio, ragazzo! - A te, biondino! - Evviva! - Gloria! - Addio! - Un ufficiale gli gettò la sua medaglia al valore, un altro andò a baciargli la fronte. E i fiori continuavano a piovergli sui piedi nudi, sul petto insanguinato, sul capo biondo. Ed egli se ne dormiva là nell'erba, ravvolto nella sua bandiera, col viso bianco e quasi sorridente, povero ragazzo, come se sentisse quei saluti, e fosse contento d'aver dato la vita per la sua Lombardia.
lunedì 28 novembre 2011
A Silvia
A Silvia, scritta da Giacomo Leopardi nel 1828 rientra insieme a “Il sabato del villaggio” tra i Grandi Idilli.
Questo componimento è stato dedicato da Leopardi a Silvia, in realtà Teresa Fattorini figlia del cocchiere di casa Leopardi morta giovane di tubercolosi. La fanciulla simboleggia i sogni e le illusioni giovanili che la realtà invece tradisce. L’unica cosa certa per l’autore e per tutti gli uomini è la morte. I sogni e le illusioni infatti scompaiono “all’apparir del vero”.
Nel testo Leopardi si rivolge a tre interlocutori diversi: Silvia, se stesso e la speranza.
La poesia è composta da 63 versi divisibili in 6 strofe libere.
La poesia è composta da 63 versi divisibili in 6 strofe libere.
La prima strofa (vv.1- 6) funge da introduzione e Silvia è presentata già come un ricordo.
Nella seconda (vv. 7 – 14) il poeta descrive la vita quotidiana di Silvia attraverso il canto di felicità e di speranza (v. 9) e le speranze del “vago” avvenire. L’aggettivo vago è utilizzato da Leopardi nel significato di piacevole e indeterminato.
La terza strofa vede come protagonista il poeta e il pronome iniziale Io (v. 15) mette in risalto tale cambiamento. I versi 26 e 27 rimandano ad indefinito senso di speranza.
La quarta strofa (vv. 29 – 39) è quella centrale in cui l’autore esprime il suo rammarico nei confronti della Natura che inganna l’uomo. Nei versi 36 – 39 Leopardi afferma la contraddizione presente nella vita degli uomini, secondo lui infatti la consapevolezza raggiunta nell’età adulta dell’inganno messo in pratica dalla Natura rende più amaro il dolore.
Nella quinta strofa ritorna nuovamente Silvia e la morte di lei viene indicata come l’impossibilità per la fanciulla di assaporare le illusioni date dalla giovane età.
L’ultima strofa ha per protagonista la speranza che muore in età adulta. Nel verso 61 il tu si riferisce sia alla speranza che a Silvia. La speranza viene personificata.
Oltre agli esercizi presenti sul libro di testo:
n.1 individua nella prima strofa l’anagramma del nome Silvia.
n.2 perché, secondo te, l’autore parlando della giovinezza di Silvia fa riferimento al mese di maggio?
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